giovedì 19 marzo 2009

Un insegnamento dalla Russia...

LA MARCIA DI UN UOMO SOLO
(Anna Politkovskaja - «Proibito parlare»)

Quando lessi qualche giorno fa il seguente articolo della “giornalista martire”, pensai subito all’Italia. Con le dovute eccezioni infatti la vicenda narrata si allacci perfettamente alla situazione attuale (ovvero degli ultimi ’70 anni!!) del nostro Paese. Il protagonista potrebbe chiamarsi tranquillamente Mario Rossi (o don Ciotti, Peppino Impastato, Giovaqnni Falcone, Paolo Borsellino, don Puglisi, Pino Maniaci e tutti gli altri EROI che lottanno quotidianamente contro tutte le mafie) e il Cremlino ovviamente palazzo Chigi (o le altri sedi della politica italiana)…L’unica differenza è che in Russia c’è una guerra dichiarata con la Cecenia, mentre da noi la guerra non è propriamente dichiarata (soprattutto perché non tutti vogliono vedere il reale problema!) e soprattutto non è contro una regione ma contro un’azienda, e questa azienda si chiama MAFIA!!
Sì, ragazzi miei. In Italia esiste questa guerra e lo Stato non la vuole combattere. Per questo dobbiamo essere noi a prendere esempio da Aleksandr Michajlovič Ljuboslavskij e combattere uniti questa violentissima guerra!! Ci saranno magari ancora numerose vittime, ma non bisogna arretrare di un solo millimetro perché UNITI si vince!!!!

14 novembre 2005
Esistono diversi tipi di difensori dei diritti umani. Alcuni tendono ad essere più che mestieranti, seguaci della Realpolitik, sempre pronti a scendere a compromessi in nome della causa, anche a costo di danneggiare coloro che dovrebbero difendere. Altri invece sono strenui combattenti dediti alla missione. Non mirano né ai soldi né alle cariche né alle onorificenze statali. Tra questi ultimi, tra coloro che mai accetterebbero compromessi c’era Aleksandr Michajlovič Ljuboslavskij, morto improvvisamente questa settimana.
Capelli bianchi, fisico asciutto, slanciato, Aleksandr Michajlovič incarnava al meglio la definizione di difensore dei diritti dell’uomo.
Quando la situazione dei profughi ceceni rifugiatisi in Inguscezia arrivò a un punto morto e le autorità iniziarono a rimpatriarli verso zone non occupate della Cecenia, nelle tendopoli si iniziò uno sciopero della fame. Era la calda estate del 2001. adulti e bambini scioperarono insieme. Divelte alcune tettoie, molti profughi vi si sdraiarono sotto per ripararsi: non avevano più nemmeno la forza per camminare. Un giorno, un uomo non più giovane d’età arrivò da quelle parti e si distese subito accanto a loro. Era Ljuboslavskij, l’unico difensore dei diritti umani di nazionalità russa che avesse mai osato tanto nel corso di tutta la maledetta seconda guerra cecena.
«Mai avremmo immaginato che un russo potesse scioperare assieme a noi!» mi dissero i profughi, prendendomi da parte. E nei loro occhi vidi baluginare la speranza: non tutto era perduto, non erano più soltanto dei reietti.
Così, grazie Ljuboslavskij, l’intero movimento per la difesa dei diritti dell’uomo iniziò a rifulgere di una luce migliore.
Molti si domanderanno: ci servono davvero questi “matti di città” (proprio così definivano Ljuboslavskij)? Con le loro stramberie, non portano forse la situazione a un punto critico?
Io ne sono convinta: ci servono moltissimo. La superficiale dimensione morale russa abbisogna del genere di opposizione portata avanti da Ljuboslavskij. Non certo un’opposizione i cui esponenti da un lato si dicono a favore della gente e dall’altro si precipitano al Cremlino non appena vi vengono invitati. Chi avrebbe potuto immaginare un Ljuboslavskij fare la bella statuina nell’immobilità del Cremlino? O addirittura deputato suggli scranni parlamentari? Lui, che nel 2002, in nome della pace, intraprese una marcia solitaria di sessantadue giorni per le strade del Sud e del centro della Russia portando un cartello con scritto: METTERE FINE ALLA GUERRA IN CECENIA…
Aleksandr Michajlovič, classe 1937, nel ’91 era sulle barricate davanti alla Casa Bianca. Divenne il primo rappresentante ufficiale per i diritti dell’uomo in Russia, precisamente nella regione di Irkutsk, dove viveva e dove creò, in ventisei province, varie strutture per il movimento.
Il suo viaggio lo aveva portato a L’gov, dove parecchi detenuti della locale prigione si erano tagliati le vene per protestare contro i soprusi subiti dai carcerieri.
È morto al suo ritorno. Gloria alla sua memoria.

(tradotto da Davide Girelli)

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